Pornhub e gli altri: tempo di reagire

9 Gen 2021 - Tag: , ,

Pornhub e gli altri: tempo di reagire
Immagine di Shane Uchi da Unsplash

Il connubio Internet-pornografia si può dire abbia caratterizzato la storia della Rete fin dalle sue origini. Già dai primi, scarni, messaggi email di solo testo, grazie all’utilizzo dei caratteri Ascii (l’insieme di tutti i segni disponibili sulla tastiera, secondo un codice messo a punto negli anni Sessanta), si componevano immagini con chiare allusioni erotiche. Lo sviluppo tecnologico e la diffusione di Internet presso il grande pubblico, con l’avvento del Web, la diffusione della banda larga e la sempre più ampia circolazione in Rete di immagini e video, hanno poi ulteriormente favorito la produzione e la fruizione di pornografia. In seguito l’avvento dei social media e del Web 2.0, in cui i contenuti sono prodotti in gran parte da noi utenti, hanno consentito il proliferare del porno fai-da-te, dove i filmati possono essere girati da chiunque e poi caricati e diffusi attraverso uno dei numerosi servizi online. E, da ultimo, l’utilizzo sempre più pervasivo dello smartphone come strumento principale di connessione ha reso sia l’accesso a questo materiale che la sua produzione alla portata di un pubblico sempre più ampio, di età anche molto bassa. Così, senza che ci sia mai stata una seria intenzione di contrastare il fenomeno, la pornografia ha trovato nella Rete il suo terreno ideale e si è diffusa in modo incontrollabile. Già nei primi anni del Duemila, quando si cominciava a intuire la rilevanza di questo tipo di contenuti all’interno del Web, i titolari dei principali motori di ricerca alzavano bandiera bianca sulla possibilità di regolamentare in qualche modo l’accesso a immagini e video pornografici. Se sui media tradizionali, come la televisione, sono sempre esistiti dei limiti, per esempio di orario, riguardo alla trasmissione di contenuti inadatti ai minori, la struttura stessa del Web rende questa operazione tecnicamente impossibile: online è possibile trovare e visionare ciò che si vuole, quando si vuole.

Così, nella totale assenza di regolamentazione, il consumo di pornografia online è cresciuto a dismisura: per avere un’idea, il big del settore,  Pornhub e i siti ad esso collegati (tra i quali YouPorn, RedTube e Brazzers) hanno avuto nel 2019, 42 miliardi di visite con una media di  115 milioni al giorno, contro i 30 milioni di Youtube.

Il cyberspazio, un mondo a parte

Ma che cosa ha fatto sì che sia mancata qualsiasi forma di vigilanza e attenzione sul dilagare di un fenomeno che oggi interessa un pubblico enorme e di età sempre più bassa? La protezione dei minori rispetto ai contenuti pornografici è  senza dubbio un problema di difficile soluzione dal punto di vista tecnico. Tuttavia non è questa a nostro avviso l’unica spiegazione. Un’altra causa – di carattere ideologico – ha avuto e continua ad avere ancora oggi un ruolo fondamentale . L’idea di poter “controllare” Internet è stata sempre intesa come una vera e propria eresia dai pionieri della Rete. E’ celebre il discorso di John Perry Barlow – personaggio di spicco della cultura digitale, paroliere del gruppo rock Grateful Dead e attivista dei diritti online, morto nel 2018 – tenuto nel 1996 a Davos e intitolato “Dichiarazione d’indipendenza del cyberspace”. Si trattava di una risposta al primo tentativo di regolamentare la Rete, Il Telecommunication Act, varato dal Parlamento americano che sanzionava anche la diffusione di materiale pornografico presso un pubblico di minori. In quel testo Barlow invitava le istituzioni di qualsiasi tipo a stare alla larga da Internet, luogo radicalmente alternativo al reale, dove valevano logiche diverse e che non era possibile in alcun modo regolamentare: “Governi del mondo industriale (…) voi non ci conoscete – scriveva Barlow –  e nemmeno conoscete il nostro mondo. Il Ciberspazio non si trova all’interno dei vostri confini. (…) Non conoscete la nostra cultura, la nostra etica, o i codici non scritti che danno già alla nostra società più ordine di quello che potrebbe essere ottenuto con qualunque vostra imposizione”.

Così i primi tentativi di tutelare i minori dall’entrare in contatto con contenuti inadatti sono stati immediatamente bollati come censura (oltre al Telecommunication Act, è da ricordare il Child Online Protection Act, COPA, entrato in vigore nel 1998) e oggetto di innumerevoli ricorsi da parte delle organizzazioni per la tutela dei diritti digitali, che li hanno resi di difficile applicazione. Internet era nata e doveva restare libera, e nessun reale controllo poteva essere esercitato al suo interno. Così, insieme all’enorme valore positivo della Rete, sterminato archivio di conoscenze consultabili facilmente e piazza dove confrontarsi con chi è lontano e diverso da noi, si è fatta strada indisturbata anche la convinzione che non ci fosse alcuna possibilità di regolamentarne i contenuti.

Oggi sappiamo che la Rete è molto diversa da come era stata concepita all’inizio. Le logiche commerciali la fanno da padrone, e la pornografia non è certo un’eccezione. Anzi, è un mercato estremamente lucroso, con una società, MindGeek, proprietaria di Pornhub e di altre decine di siti pornografici, con sedi in Lussemburgo e in Canada, che ha un valore stimato di oltre 30 miliardi di dollari, in un mercato che complessivamente ne vale 100. Difficile vedere, nel prevalere degli aspetti economici, una relazione con la gratuità e il desiderio di collaborazione dell’Internet degli albori e anche con la fiera indipendenza rivendicata da Barlow.

Le ragioni del successo

Il successo della pornografia online è dovuto in larga parte a ragioni facilmente intuibili, come ad esempio la possibilità, che questo tipo di consumo offre, di evitare il confronto con chiunque per accedere alle immagini. Non c’è nessun edicolante, libraio o venditore di videocassette o dvd da affrontare, basta stare al proprio computer (o smartphone, che è lo strumento sempre più usato: nel caso di Pornhub lo fanno il 61% dei visitatori), digitare l’indirizzo e in un click si arriva al sito desiderato, con una vasta possibilità di scelta che può far accaponare la pelle a un genitore: si va dalle categorie “teens” (adolescenti) al campionario di perversioni che si celano dietro alla parola Hentai, che riunisce fumetti giapponesi dove ogni devianza è ritratta, compresa la rappresentazione di ragazzine e ragazzini in età prepuberale.

Oggi nel panorama hanno un posto rilevante anche  i  servizi in cui a fare la parte degli attori e delle attrici sono gli stessi utenti. Del resto proprio le caratteristiche del mezzo favoriscono sempre di più intrecci inediti fra la pornografia prodotta dalle grandi aziende del settore – quelle dei film a luci rosse, per intenderci – e quella invece che qualunque utente può realizzare a costo zero e immettere in Rete. I confini del porno vero e proprio si confondono così con quello che viene chiamato “Sexting”, ovvero l’invio al partner o ad amici di immagini di se stessi nudi, in pose provocanti o durante un atto sessuale. Si tratta di una pratica in aumento fra gli adolescenti, che la considerano una prova d’amore, a volte preliminare a un incontro o a una relazione. In generale poi, il consumo della pornografia è ormai accettato socialmente e dato quasi per scontato tra gli adolescenti, inteso alla stregua di una qualsiasi altra forma d’intrattenimento.

La pornografia online è dunque ormai un fenomeno dilagante, che promuove un’intera cultura della sessualizzazione precoce e finisce per avallare comportamenti (come filmare o fotografare la propria attività sessuale) altamente a rischio. Su questo fa perno una mozione online (reperibile al sito www.traffickinghub.com) che richiede la chiusura di Pornhub, rea, secondo i promotori di aver pubblicato sul proprio sito filmati di stupri e in generale di atti sessuali senza avere raccolto prima il consenso degli interessati.

Proteggere i minori

Il diffondersi della pornografia online ha fatto sì poi che l’età del primo impatto con questo tipo di immagini si stia sensibilmente abbassando. Difficile avere dati certi, perché formalmente per accedere a siti di questo tipo occorre dichiarare di avere compiuto 18 anni, però secondo alcune ricerche il primo contatto con  immagini pornografiche avverrebbe occasionalmente già a 7-8 anni. Uno studio piuttosto esaustivo è stato condotto nel 2016 (con una revisione l’anno successivo) dall’Università del Middlesex per conto del Children’s Commissioner (il Garante per l’Infanzia inglese) su un campione di ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 16 anni. Se la prima reazione alla visione di quel tipo di immagini variava dallo shock al disgusto, alla curiosità, in molti restava l’idea che comunque quel modo di rappresentare le relazioni non fosse del tutto lontano dalla realtà, e nella fascia d’età più alta si riteneva di poter emulare nella propria vita reale quanto visto online. In generale si riscontrava una progressiva desensibilizzazione rispetto a immagini anche violente che tendevano a essere presentate come normali.  I ricercatori concludevano sottolineando la necessità di mettere in atto strumenti più efficaci di tutela dei minori rispetto alla possibilità d’imbattersi casualmente in simili contenuti. Purtroppo in realtà nulla di significativo è stato fatto e la diffusione della pornografia tra gli adolescenti è cresciuta a dismisura, nel sostanziale disinteresse delle istituzioni e delle aziende di tecnologia alla quali spetterebbe la soluzione pratica del problema dell’accesso.

Il premier Cameron

Proprio a queste aziende si rivolgeva già nel 2013 l’allora premier inglese David Cameron in un coraggioso e vibrante discorso alla NSPCC  (National Society for the Prevention of Cruelty to Children), un’organizzazione inglese attiva nella tutela dei minori.  L’idea che Internet sia un mondo privo di regole e impossibile da controllare va superata – spiegava Cameron – che descriveva con lucidità i problemi causati dalla diffusione della pornografia presso i più piccoli: “Molti bambini vedono pornografia online e altri materiali dannosi a un’età molto precoce e la natura di questo tipo d’immagini è così estrema da distorcere la loro immagine del sesso e delle relazioni”.  Il premier inglese parlava apertamente di “corrosione dell’infanzia” e di “perdita dell’innocenza” e invitava a un’azione rapida ed efficace per affiancare i genitori nel difficile compito di crescere i propri figli al riparo da questo tipo di contenuti. La soluzione tecnica proposta da Cameron era quella di un filtro preimpostato dagli operatori che offrono la connessione alla Rete, in modo da impedire l’accesso a siti pornografici o eccessivamente violenti. Soltanto l’intestatario del contratto – maggiorenne – avrebbe potuto rimuovere il filtro. Si trattava di un’operazione tutt’altro che facile da realizzare, ma, come giustamente rilevava il leader conservatore in quello stesso discorso, le aziende d’informatica più avanzate del pianeta che progettano sistemi d’intelligenza artificiale ultra-sofisticati avrebbero ben potuto impiegare le loro ingenti energie per trovare una soluzione. Purtroppo però non è andata così. La proposta Cameron ha sollevato da subito un’ondata di proteste, è stata tacciata di intenzioni censorie e velleitarismo, visto il numero ingente e in crescita continua di siti porno che renderebbe praticamente impossibile un controllo puntuale.  Un’altra accusa era quella di favorire pericolose incursioni nella privacy: per riuscire a verificare l’età degli utenti, infatti, si sarebbe dovuto creare e gestire un database con dati sensibili come documenti e probabilmente anche numero di carta di credito.

Così la discussione sulla misura si è protratta fino all’ottobre dello scorso anno (era inserita nel Digital Economy Act) , quando è stata definitivamente bocciata. Una sorte analoga rischia di toccare anche all’emendamento al decreto Giustizia  proposto dal senatore leghista Simone Pillon e convertito in legge nel giugno scorso, che ricalca nella sostanza la proposta inglese (questo il testo dell’emendamento:  “I contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica disciplinati dal codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 devono prevedere tra i servizi preattivati sistemi di parental control ovvero di filtro di contenuti inappropriati per i minori e di blocco a contenuti riservati a un pubblico di età superiore agli anni diciotto». E ancora: «Questi servizi devono essere gratuiti e disattivabili solo su richiesta del consumatore, titolare del contratto»).

Una volontà debole

Non c’è dubbio che simili disposizioni siano molto difficili da mettere in atto in concreto, per la complessità delle tecnologie che richiedono, e forse non del tutto risolutive – l’ambito dei social media, ad esempio, resterebbe escluso da questo tipo di filtri all’accesso –  ma hanno almeno il pregio di evidenziare un problema sul quale vige un colpevole silenzio da parte di operatori e istituzioni e di proporre qualche – sia pure imperfetta – soluzione.

L’impressione è che manchi la volontà di risolvere il problema, e questo in buona parte per i già citati motivi ideologici. Come spiega, a proposito dei social media, la giornalista americana Nancy Jo Sales nel suo libro inchiesta “American girls. Social media and the secret lives of teenagers”, (Vintage Books, 2016): “il primo emendamento (che nella Costituzione Americana difende la libertà di espressione, ndr) è diventato il pretesto dietro il quale le aziende dei social media si trincerano per non affrontare le questioni riguardanti le attività online dei propri utenti”. Anche quando queste attività sono palesemente dannose per se stessi e per gli altri.

La posta in gioco

Forse questa scarsa determinazione nel cercare di risolvere il problema dell’accesso precoce a contenuti pornografici, deriva anche dalla scarsa consapevolezza di quale sia in realtà la posta in gioco. Si va da una sostanziale rassegnazione di fronte alla presunta “normalità” – soprattutto per un adolescente – della  frequentazione di contenuti di questo tipo, all’impossibilità di contrastare la quantità e la pervasività dei siti e dei profili social apertamente pornografici o comunque improntati a una sessualizzazione precoce del corpo adolescente.

Eppure è ormai piuttosto chiaro come gli effetti di una esposizione precoce ed eccessiva al porno siano preoccupanti sotto vari punti di vista. Non ultimo quello della stessa struttura cerebrale. Secondo alcune ricerche (in particolare https://surgicalneurologyint.com/surgicalint-articles/pornography-addiction-a-neuroscience-perspective/) nei consumatori abituali e compulsivi di pornografia si assisterebbe a un deterioramento della corteccia prefrontale, quella parte del cervello che presiede alle decisioni, alla consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni e in genere alla valutazione morale di cosa sia bene e male. Visto che nell’infanzia e nell’adolescenza tale organo è ancora in fase di formazione, si può intuire quanto possa essere dannoso l’impatto di questo tipo d’immagini in un’età ancora troppo bassa.

Del resto, la pornografia avrebbe tutti i requisiti per favorire forme di dipendenza e innescare quindi cambiamenti nella struttura stessa del cervello, secondo i principi della neuroplasticità

Se ne parla ampiamente nel volume “Uscire dal tunnel. Dalla dipendenza da pornografia all’integrità” (D’Ettoris Editori, Crotone 2018), che fornisce un ritratto molto esaustivo della questione e cita varie altre ricerche a conferma delle ipotesi sul cambiamento “fisico” del cervello.

Escalation violenta

La più illustre è l’opinione del luminare delle neuroscienze Norman Doidge (autore del best seller “Il cervello infinito”, Ponte alle Grazie, 2007), che spiega: “La pornografia soddisfa tutti i requisiti necessari per il cambiamento neuroplastico. Quando i pornografi si vantano di oltrepassare i limiti introducendo temi nuovi e più spinti, quello che non dicono è che sono obbligati a farlo, perché i loro clienti ormai si sono assuefatti rispetto al contenuto”. Questo spiega l’escalation dei contenuti verso la violenza e le situazioni estreme della pornografia online, secondo uno schema tipico di qualsiasi forma di dipendenza.

Se poi non si trovassero convincenti questi studi (e in Rete sono in molti a ritenerli discutibili) una spiegazione molto chiara e per nulla specialistica è quella proposta dal sessuologo israeliano Ran Gavrieli, in una conferenza al Ted di Jaffa – “Why I stopped watching porn” (“Perché ho smesso di guardare pornografia”), il cui video ha avuto oltre 15 milioni di visualizzazioni su Youtube.

Tra le argomentazioni proposte da Gavrieli vi è la percezione sempre più netta di quanto la pornografia stesse colonizzando i suoi pensieri con immagini di grande intensità e sempre più segnate da situazioni dove predominavano rabbia e violenza. “Siamo tutti vulnerabili alla pornografia – avvertiva – facciamo attenzione a quello che lasciamo entrare nella nostra mente”. E’ quanto sostiene anche la sessuologa francese Thérèse Hargot nel suo “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)” (Sonzogno, Venezia 2017). Quello operato dalla pornografia è un autentico “stupro dell’immaginario”, tanto più efficace quanto più è bassa l’età dei destinatari. “Prima si abitua il consumatore, più forte sarà la dipendenza, perché anche prima che abbia il tempo di scoprire e di sviluppare la propria immaginazione, essa sarà svuotata della sua sostanza mediante immagini prefabbricate”, sostiene Hargot. E, citando le parole di una delle ragazze liceali che assistono ai suoi incontri, scrive, “Quelle immagini sono impresse nel mio spirito, mi tornano su come un flashback, opacizzano il mio sguardo. Non riesco più a guardare la persona che sta di fronte a me”.

Profonda insicurezza

L’effetto del porno è inoltre quello d’instillare, soprattutto nei giovani, una profonda insicurezza fino quasi a paralizzarli nelle relazioni per la paura di non essere all’altezza di quanto vedono rappresentato. Specialmente sulle ragazze, poi, il messaggio subdolo è che per venire apprezzate e amate devono essere sessualmente desiderabili, il che nell’immaginario di Instagram e dei social media in generale, significa atteggiarsi in pose provocanti, in molti casi senza nemmeno rendersene conto. Si è creato ormai un pericoloso cortocircuito tra pornografia vera e propria e il “sexting” e sempre più spesso tutto il complesso ambito dell’affettività finisce per appiattirsi su immagini dove l’aspetto sessuale ha la netta prevalenza. Del resto è ormai assodato che per i teenager sia proprio Internet la prima fonte d’informazione riguardo al sesso. Per adeguarsi Pornhub ha creato un sito di educazione sessuale (Pornhub sexual wellness center) con tanto di video esplicativi delle varie pratiche possibili e interventi di una sessuologa che offre consigli medici. Lo slogan con cui si viene accolti nel sito è: “Real talk about sex from those who know it best” (“Parliamo davvero di sesso con quelli che lo conoscono meglio”). Il sesso ridotto a pura tecnica, insieme di prestazioni che devono funzionare al meglio per dare piacere. Ma è proprio tutto li? Crediamo davvero che l’informazione sempre più dettagliata sugli aspetti tecnici offra le risposte adeguate a ciò che i ragazzi si chiedono? E che ha a che fare – più di quanto noi adulti immaginiamo – con l’amore romantico. Come spiega Eve, 19 anni, un’altra delle ragazze intervistate da Nancy Jo Sales: “Sappiamo ancora cosa vuol dire innamorarsi?  Tutti vogliono il vero amore. Ma nessuno lo ammette”.

Sguardo educativo

Per rispondere occorrerebbe riprendere le redini di un percorso serio di educazione all’affettività, che sola può fare da efficace prevenzione a un consumo eccessivo e compulsivo di pornografia. Dire semplicemente che è tutto finto, come fa un divertente spot neozelandese in cui due attori di film porno bussano alla porta di un’ignara madre annunciandole che suo figlio li conosce benissimo e invitandola a spiegargli che quanto vede sullo schermo non è la realtà, non serve a molto. Come nota uno dei ragazzi intervistati da Thérése Hargot: “Lo sappiamo bene che sono degli attori, ma non cambia niente, lo fanno veramente. E poi ci sono un sacco di video amatoriali, e lì possiamo star sicuri: quello è reale”. L’idea di poter ridimensionare l’impatto di tali immagini semplicemente dicendo che si tratta di finzione è dunque una pura illusione. Piuttosto va posta seriamente la questione di favorire un maggiore controllo dei propri impulsi, il che è molto difficile quando lo strumento per soddisfarle (il web sullo smartphone) è sempre a portata di mano.

L’unica strada oggi realisticamente percorribile ci sembra quella di un lavoro di scoperta di sé e di conoscenza, di alfabetizzazione sulle proprie emozioni, che dovrebbe partire dalle scuole elementari perché già in quegli anni – a causa anche della diffusione sempre più pervasiva della tecnologia – i bambini cominciano a essere bombardati da immagini che deformano il loro immaginario affettivo. In un percorso di questo tipo ha un ruolo fondamentale la famiglia, come documentato ampiamente nel volume già citato di Peter Kleponis, nel quale si offre anche un gran numero di preziose risorse con materiali utili per questo lavoro di prevenzione e anche per risolvere i casi più gravi di dipendenza sia negli adulti che nei ragazzi (un’altra risorsa interessante a questo proposito è il video Brain, Heart, World, reperibile online all’indirizzo https://brainheartworld.org).

Affrontare con decisione il problema del dilagare della pornografia è una battaglia che dovrebbe coinvolgere sullo stesso fronte famiglie, scuole, istituzioni culturali e politiche e chiunque abbia oggi un compito educativo da svolgere con bambini e ragazzi. Tutti convinti che valga la pena prendersi a cuore quella che dovrebbe emergere con chiarezza come una responsabilità diffusa e condivisa a fronte di quella che si va profilando sempre più come una ferita educativa con implicazioni e conseguenze sociali di tutto rilievo (si pensi alla violenza sulle donne) sinora del tutto ignorate. Occorre complicarsi la vita per proteggere efficacemente i minori. Ricordando sempre che “per educare un figlio ci vuole un villaggio”, come ricorda un proverbio africano caro a Papa Francesco. In pochi casi come questo un simile richiamo suona quanto mai urgente.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre del mensile Studi Cattolici

Per un aggiornamento sulla vicenda Pornhub clicca qui.

Da qualche giorno è stata attivata una petizione per la chiusura di Pornhub anche sul sito di Provita & Famiglia

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Pornhub e gli altri: tempo di reagire
Immagine di Shane Uchi da Unsplash

Il connubio Internet-pornografia si può dire abbia caratterizzato la storia della Rete fin dalle sue origini. Già dai primi, scarni, messaggi email di solo testo, grazie all’utilizzo dei caratteri Ascii (l’insieme di tutti i segni disponibili sulla tastiera, secondo un codice messo a punto negli anni Sessanta), si componevano immagini con chiare allusioni erotiche. Lo sviluppo tecnologico e la diffusione di Internet presso il grande pubblico, con l’avvento del Web, la diffusione della banda larga e la sempre più ampia circolazione in Rete di immagini e video, hanno poi ulteriormente favorito la produzione e la fruizione di pornografia. In seguito l’avvento dei social media e del Web 2.0, in cui i contenuti sono prodotti in gran parte da noi utenti, hanno consentito il proliferare del porno fai-da-te, dove i filmati possono essere girati da chiunque e poi caricati e diffusi attraverso uno dei numerosi servizi online. E, da ultimo, l’utilizzo sempre più pervasivo dello smartphone come strumento principale di connessione ha reso sia l’accesso a questo materiale che la sua produzione alla portata di un pubblico sempre più ampio, di età anche molto bassa. Così, senza che ci sia mai stata una seria intenzione di contrastare il fenomeno, la pornografia ha trovato nella Rete il suo terreno ideale e si è diffusa in modo incontrollabile. Già nei primi anni del Duemila, quando si cominciava a intuire la rilevanza di questo tipo di contenuti all’interno del Web, i titolari dei principali motori di ricerca alzavano bandiera bianca sulla possibilità di regolamentare in qualche modo l’accesso a immagini e video pornografici. Se sui media tradizionali, come la televisione, sono sempre esistiti dei limiti, per esempio di orario, riguardo alla trasmissione di contenuti inadatti ai minori, la struttura stessa del Web rende questa operazione tecnicamente impossibile: online è possibile trovare e visionare ciò che si vuole, quando si vuole.

Così, nella totale assenza di regolamentazione, il consumo di pornografia online è cresciuto a dismisura: per avere un’idea, il big del settore,  Pornhub e i siti ad esso collegati (tra i quali YouPorn, RedTube e Brazzers) hanno avuto nel 2019, 42 miliardi di visite con una media di  115 milioni al giorno, contro i 30 milioni di Youtube.

Il cyberspazio, un mondo a parte

Ma che cosa ha fatto sì che sia mancata qualsiasi forma di vigilanza e attenzione sul dilagare di un fenomeno che oggi interessa un pubblico enorme e di età sempre più bassa? La protezione dei minori rispetto ai contenuti pornografici è  senza dubbio un problema di difficile soluzione dal punto di vista tecnico. Tuttavia non è questa a nostro avviso l’unica spiegazione. Un’altra causa – di carattere ideologico – ha avuto e continua ad avere ancora oggi un ruolo fondamentale . L’idea di poter “controllare” Internet è stata sempre intesa come una vera e propria eresia dai pionieri della Rete. E’ celebre il discorso di John Perry Barlow – personaggio di spicco della cultura digitale, paroliere del gruppo rock Grateful Dead e attivista dei diritti online, morto nel 2018 – tenuto nel 1996 a Davos e intitolato “Dichiarazione d’indipendenza del cyberspace”. Si trattava di una risposta al primo tentativo di regolamentare la Rete, Il Telecommunication Act, varato dal Parlamento americano che sanzionava anche la diffusione di materiale pornografico presso un pubblico di minori. In quel testo Barlow invitava le istituzioni di qualsiasi tipo a stare alla larga da Internet, luogo radicalmente alternativo al reale, dove valevano logiche diverse e che non era possibile in alcun modo regolamentare: “Governi del mondo industriale (…) voi non ci conoscete – scriveva Barlow –  e nemmeno conoscete il nostro mondo. Il Ciberspazio non si trova all’interno dei vostri confini. (…) Non conoscete la nostra cultura, la nostra etica, o i codici non scritti che danno già alla nostra società più ordine di quello che potrebbe essere ottenuto con qualunque vostra imposizione”.

Così i primi tentativi di tutelare i minori dall’entrare in contatto con contenuti inadatti sono stati immediatamente bollati come censura (oltre al Telecommunication Act, è da ricordare il Child Online Protection Act, COPA, entrato in vigore nel 1998) e oggetto di innumerevoli ricorsi da parte delle organizzazioni per la tutela dei diritti digitali, che li hanno resi di difficile applicazione. Internet era nata e doveva restare libera, e nessun reale controllo poteva essere esercitato al suo interno. Così, insieme all’enorme valore positivo della Rete, sterminato archivio di conoscenze consultabili facilmente e piazza dove confrontarsi con chi è lontano e diverso da noi, si è fatta strada indisturbata anche la convinzione che non ci fosse alcuna possibilità di regolamentarne i contenuti.

Oggi sappiamo che la Rete è molto diversa da come era stata concepita all’inizio. Le logiche commerciali la fanno da padrone, e la pornografia non è certo un’eccezione. Anzi, è un mercato estremamente lucroso, con una società, MindGeek, proprietaria di Pornhub e di altre decine di siti pornografici, con sedi in Lussemburgo e in Canada, che ha un valore stimato di oltre 30 miliardi di dollari, in un mercato che complessivamente ne vale 100. Difficile vedere, nel prevalere degli aspetti economici, una relazione con la gratuità e il desiderio di collaborazione dell’Internet degli albori e anche con la fiera indipendenza rivendicata da Barlow.

Le ragioni del successo

Il successo della pornografia online è dovuto in larga parte a ragioni facilmente intuibili, come ad esempio la possibilità, che questo tipo di consumo offre, di evitare il confronto con chiunque per accedere alle immagini. Non c’è nessun edicolante, libraio o venditore di videocassette o dvd da affrontare, basta stare al proprio computer (o smartphone, che è lo strumento sempre più usato: nel caso di Pornhub lo fanno il 61% dei visitatori), digitare l’indirizzo e in un click si arriva al sito desiderato, con una vasta possibilità di scelta che può far accaponare la pelle a un genitore: si va dalle categorie “teens” (adolescenti) al campionario di perversioni che si celano dietro alla parola Hentai, che riunisce fumetti giapponesi dove ogni devianza è ritratta, compresa la rappresentazione di ragazzine e ragazzini in età prepuberale.

Oggi nel panorama hanno un posto rilevante anche  i  servizi in cui a fare la parte degli attori e delle attrici sono gli stessi utenti. Del resto proprio le caratteristiche del mezzo favoriscono sempre di più intrecci inediti fra la pornografia prodotta dalle grandi aziende del settore – quelle dei film a luci rosse, per intenderci – e quella invece che qualunque utente può realizzare a costo zero e immettere in Rete. I confini del porno vero e proprio si confondono così con quello che viene chiamato “Sexting”, ovvero l’invio al partner o ad amici di immagini di se stessi nudi, in pose provocanti o durante un atto sessuale. Si tratta di una pratica in aumento fra gli adolescenti, che la considerano una prova d’amore, a volte preliminare a un incontro o a una relazione. In generale poi, il consumo della pornografia è ormai accettato socialmente e dato quasi per scontato tra gli adolescenti, inteso alla stregua di una qualsiasi altra forma d’intrattenimento.

La pornografia online è dunque ormai un fenomeno dilagante, che promuove un’intera cultura della sessualizzazione precoce e finisce per avallare comportamenti (come filmare o fotografare la propria attività sessuale) altamente a rischio. Su questo fa perno una mozione online (reperibile al sito www.traffickinghub.com) che richiede la chiusura di Pornhub, rea, secondo i promotori di aver pubblicato sul proprio sito filmati di stupri e in generale di atti sessuali senza avere raccolto prima il consenso degli interessati.

Proteggere i minori

Il diffondersi della pornografia online ha fatto sì poi che l’età del primo impatto con questo tipo di immagini si stia sensibilmente abbassando. Difficile avere dati certi, perché formalmente per accedere a siti di questo tipo occorre dichiarare di avere compiuto 18 anni, però secondo alcune ricerche il primo contatto con  immagini pornografiche avverrebbe occasionalmente già a 7-8 anni. Uno studio piuttosto esaustivo è stato condotto nel 2016 (con una revisione l’anno successivo) dall’Università del Middlesex per conto del Children’s Commissioner (il Garante per l’Infanzia inglese) su un campione di ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 16 anni. Se la prima reazione alla visione di quel tipo di immagini variava dallo shock al disgusto, alla curiosità, in molti restava l’idea che comunque quel modo di rappresentare le relazioni non fosse del tutto lontano dalla realtà, e nella fascia d’età più alta si riteneva di poter emulare nella propria vita reale quanto visto online. In generale si riscontrava una progressiva desensibilizzazione rispetto a immagini anche violente che tendevano a essere presentate come normali.  I ricercatori concludevano sottolineando la necessità di mettere in atto strumenti più efficaci di tutela dei minori rispetto alla possibilità d’imbattersi casualmente in simili contenuti. Purtroppo in realtà nulla di significativo è stato fatto e la diffusione della pornografia tra gli adolescenti è cresciuta a dismisura, nel sostanziale disinteresse delle istituzioni e delle aziende di tecnologia alla quali spetterebbe la soluzione pratica del problema dell’accesso.

Il premier Cameron

Proprio a queste aziende si rivolgeva già nel 2013 l’allora premier inglese David Cameron in un coraggioso e vibrante discorso alla NSPCC  (National Society for the Prevention of Cruelty to Children), un’organizzazione inglese attiva nella tutela dei minori.  L’idea che Internet sia un mondo privo di regole e impossibile da controllare va superata – spiegava Cameron – che descriveva con lucidità i problemi causati dalla diffusione della pornografia presso i più piccoli: “Molti bambini vedono pornografia online e altri materiali dannosi a un’età molto precoce e la natura di questo tipo d’immagini è così estrema da distorcere la loro immagine del sesso e delle relazioni”.  Il premier inglese parlava apertamente di “corrosione dell’infanzia” e di “perdita dell’innocenza” e invitava a un’azione rapida ed efficace per affiancare i genitori nel difficile compito di crescere i propri figli al riparo da questo tipo di contenuti. La soluzione tecnica proposta da Cameron era quella di un filtro preimpostato dagli operatori che offrono la connessione alla Rete, in modo da impedire l’accesso a siti pornografici o eccessivamente violenti. Soltanto l’intestatario del contratto – maggiorenne – avrebbe potuto rimuovere il filtro. Si trattava di un’operazione tutt’altro che facile da realizzare, ma, come giustamente rilevava il leader conservatore in quello stesso discorso, le aziende d’informatica più avanzate del pianeta che progettano sistemi d’intelligenza artificiale ultra-sofisticati avrebbero ben potuto impiegare le loro ingenti energie per trovare una soluzione. Purtroppo però non è andata così. La proposta Cameron ha sollevato da subito un’ondata di proteste, è stata tacciata di intenzioni censorie e velleitarismo, visto il numero ingente e in crescita continua di siti porno che renderebbe praticamente impossibile un controllo puntuale.  Un’altra accusa era quella di favorire pericolose incursioni nella privacy: per riuscire a verificare l’età degli utenti, infatti, si sarebbe dovuto creare e gestire un database con dati sensibili come documenti e probabilmente anche numero di carta di credito.

Così la discussione sulla misura si è protratta fino all’ottobre dello scorso anno (era inserita nel Digital Economy Act) , quando è stata definitivamente bocciata. Una sorte analoga rischia di toccare anche all’emendamento al decreto Giustizia  proposto dal senatore leghista Simone Pillon e convertito in legge nel giugno scorso, che ricalca nella sostanza la proposta inglese (questo il testo dell’emendamento:  “I contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica disciplinati dal codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 devono prevedere tra i servizi preattivati sistemi di parental control ovvero di filtro di contenuti inappropriati per i minori e di blocco a contenuti riservati a un pubblico di età superiore agli anni diciotto». E ancora: «Questi servizi devono essere gratuiti e disattivabili solo su richiesta del consumatore, titolare del contratto»).

Una volontà debole

Non c’è dubbio che simili disposizioni siano molto difficili da mettere in atto in concreto, per la complessità delle tecnologie che richiedono, e forse non del tutto risolutive – l’ambito dei social media, ad esempio, resterebbe escluso da questo tipo di filtri all’accesso –  ma hanno almeno il pregio di evidenziare un problema sul quale vige un colpevole silenzio da parte di operatori e istituzioni e di proporre qualche – sia pure imperfetta – soluzione.

L’impressione è che manchi la volontà di risolvere il problema, e questo in buona parte per i già citati motivi ideologici. Come spiega, a proposito dei social media, la giornalista americana Nancy Jo Sales nel suo libro inchiesta “American girls. Social media and the secret lives of teenagers”, (Vintage Books, 2016): “il primo emendamento (che nella Costituzione Americana difende la libertà di espressione, ndr) è diventato il pretesto dietro il quale le aziende dei social media si trincerano per non affrontare le questioni riguardanti le attività online dei propri utenti”. Anche quando queste attività sono palesemente dannose per se stessi e per gli altri.

La posta in gioco

Forse questa scarsa determinazione nel cercare di risolvere il problema dell’accesso precoce a contenuti pornografici, deriva anche dalla scarsa consapevolezza di quale sia in realtà la posta in gioco. Si va da una sostanziale rassegnazione di fronte alla presunta “normalità” – soprattutto per un adolescente – della  frequentazione di contenuti di questo tipo, all’impossibilità di contrastare la quantità e la pervasività dei siti e dei profili social apertamente pornografici o comunque improntati a una sessualizzazione precoce del corpo adolescente.

Eppure è ormai piuttosto chiaro come gli effetti di una esposizione precoce ed eccessiva al porno siano preoccupanti sotto vari punti di vista. Non ultimo quello della stessa struttura cerebrale. Secondo alcune ricerche (in particolare https://surgicalneurologyint.com/surgicalint-articles/pornography-addiction-a-neuroscience-perspective/) nei consumatori abituali e compulsivi di pornografia si assisterebbe a un deterioramento della corteccia prefrontale, quella parte del cervello che presiede alle decisioni, alla consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni e in genere alla valutazione morale di cosa sia bene e male. Visto che nell’infanzia e nell’adolescenza tale organo è ancora in fase di formazione, si può intuire quanto possa essere dannoso l’impatto di questo tipo d’immagini in un’età ancora troppo bassa.

Del resto, la pornografia avrebbe tutti i requisiti per favorire forme di dipendenza e innescare quindi cambiamenti nella struttura stessa del cervello, secondo i principi della neuroplasticità

Se ne parla ampiamente nel volume “Uscire dal tunnel. Dalla dipendenza da pornografia all’integrità” (D’Ettoris Editori, Crotone 2018), che fornisce un ritratto molto esaustivo della questione e cita varie altre ricerche a conferma delle ipotesi sul cambiamento “fisico” del cervello.

Escalation violenta

La più illustre è l’opinione del luminare delle neuroscienze Norman Doidge (autore del best seller “Il cervello infinito”, Ponte alle Grazie, 2007), che spiega: “La pornografia soddisfa tutti i requisiti necessari per il cambiamento neuroplastico. Quando i pornografi si vantano di oltrepassare i limiti introducendo temi nuovi e più spinti, quello che non dicono è che sono obbligati a farlo, perché i loro clienti ormai si sono assuefatti rispetto al contenuto”. Questo spiega l’escalation dei contenuti verso la violenza e le situazioni estreme della pornografia online, secondo uno schema tipico di qualsiasi forma di dipendenza.

Se poi non si trovassero convincenti questi studi (e in Rete sono in molti a ritenerli discutibili) una spiegazione molto chiara e per nulla specialistica è quella proposta dal sessuologo israeliano Ran Gavrieli, in una conferenza al Ted di Jaffa – “Why I stopped watching porn” (“Perché ho smesso di guardare pornografia”), il cui video ha avuto oltre 15 milioni di visualizzazioni su Youtube.

Tra le argomentazioni proposte da Gavrieli vi è la percezione sempre più netta di quanto la pornografia stesse colonizzando i suoi pensieri con immagini di grande intensità e sempre più segnate da situazioni dove predominavano rabbia e violenza. “Siamo tutti vulnerabili alla pornografia – avvertiva – facciamo attenzione a quello che lasciamo entrare nella nostra mente”. E’ quanto sostiene anche la sessuologa francese Thérèse Hargot nel suo “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)” (Sonzogno, Venezia 2017). Quello operato dalla pornografia è un autentico “stupro dell’immaginario”, tanto più efficace quanto più è bassa l’età dei destinatari. “Prima si abitua il consumatore, più forte sarà la dipendenza, perché anche prima che abbia il tempo di scoprire e di sviluppare la propria immaginazione, essa sarà svuotata della sua sostanza mediante immagini prefabbricate”, sostiene Hargot. E, citando le parole di una delle ragazze liceali che assistono ai suoi incontri, scrive, “Quelle immagini sono impresse nel mio spirito, mi tornano su come un flashback, opacizzano il mio sguardo. Non riesco più a guardare la persona che sta di fronte a me”.

Profonda insicurezza

L’effetto del porno è inoltre quello d’instillare, soprattutto nei giovani, una profonda insicurezza fino quasi a paralizzarli nelle relazioni per la paura di non essere all’altezza di quanto vedono rappresentato. Specialmente sulle ragazze, poi, il messaggio subdolo è che per venire apprezzate e amate devono essere sessualmente desiderabili, il che nell’immaginario di Instagram e dei social media in generale, significa atteggiarsi in pose provocanti, in molti casi senza nemmeno rendersene conto. Si è creato ormai un pericoloso cortocircuito tra pornografia vera e propria e il “sexting” e sempre più spesso tutto il complesso ambito dell’affettività finisce per appiattirsi su immagini dove l’aspetto sessuale ha la netta prevalenza. Del resto è ormai assodato che per i teenager sia proprio Internet la prima fonte d’informazione riguardo al sesso. Per adeguarsi Pornhub ha creato un sito di educazione sessuale (Pornhub sexual wellness center) con tanto di video esplicativi delle varie pratiche possibili e interventi di una sessuologa che offre consigli medici. Lo slogan con cui si viene accolti nel sito è: “Real talk about sex from those who know it best” (“Parliamo davvero di sesso con quelli che lo conoscono meglio”). Il sesso ridotto a pura tecnica, insieme di prestazioni che devono funzionare al meglio per dare piacere. Ma è proprio tutto li? Crediamo davvero che l’informazione sempre più dettagliata sugli aspetti tecnici offra le risposte adeguate a ciò che i ragazzi si chiedono? E che ha a che fare – più di quanto noi adulti immaginiamo – con l’amore romantico. Come spiega Eve, 19 anni, un’altra delle ragazze intervistate da Nancy Jo Sales: “Sappiamo ancora cosa vuol dire innamorarsi?  Tutti vogliono il vero amore. Ma nessuno lo ammette”.

Sguardo educativo

Per rispondere occorrerebbe riprendere le redini di un percorso serio di educazione all’affettività, che sola può fare da efficace prevenzione a un consumo eccessivo e compulsivo di pornografia. Dire semplicemente che è tutto finto, come fa un divertente spot neozelandese in cui due attori di film porno bussano alla porta di un’ignara madre annunciandole che suo figlio li conosce benissimo e invitandola a spiegargli che quanto vede sullo schermo non è la realtà, non serve a molto. Come nota uno dei ragazzi intervistati da Thérése Hargot: “Lo sappiamo bene che sono degli attori, ma non cambia niente, lo fanno veramente. E poi ci sono un sacco di video amatoriali, e lì possiamo star sicuri: quello è reale”. L’idea di poter ridimensionare l’impatto di tali immagini semplicemente dicendo che si tratta di finzione è dunque una pura illusione. Piuttosto va posta seriamente la questione di favorire un maggiore controllo dei propri impulsi, il che è molto difficile quando lo strumento per soddisfarle (il web sullo smartphone) è sempre a portata di mano.

L’unica strada oggi realisticamente percorribile ci sembra quella di un lavoro di scoperta di sé e di conoscenza, di alfabetizzazione sulle proprie emozioni, che dovrebbe partire dalle scuole elementari perché già in quegli anni – a causa anche della diffusione sempre più pervasiva della tecnologia – i bambini cominciano a essere bombardati da immagini che deformano il loro immaginario affettivo. In un percorso di questo tipo ha un ruolo fondamentale la famiglia, come documentato ampiamente nel volume già citato di Peter Kleponis, nel quale si offre anche un gran numero di preziose risorse con materiali utili per questo lavoro di prevenzione e anche per risolvere i casi più gravi di dipendenza sia negli adulti che nei ragazzi (un’altra risorsa interessante a questo proposito è il video Brain, Heart, World, reperibile online all’indirizzo https://brainheartworld.org).

Affrontare con decisione il problema del dilagare della pornografia è una battaglia che dovrebbe coinvolgere sullo stesso fronte famiglie, scuole, istituzioni culturali e politiche e chiunque abbia oggi un compito educativo da svolgere con bambini e ragazzi. Tutti convinti che valga la pena prendersi a cuore quella che dovrebbe emergere con chiarezza come una responsabilità diffusa e condivisa a fronte di quella che si va profilando sempre più come una ferita educativa con implicazioni e conseguenze sociali di tutto rilievo (si pensi alla violenza sulle donne) sinora del tutto ignorate. Occorre complicarsi la vita per proteggere efficacemente i minori. Ricordando sempre che “per educare un figlio ci vuole un villaggio”, come ricorda un proverbio africano caro a Papa Francesco. In pochi casi come questo un simile richiamo suona quanto mai urgente.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre del mensile Studi Cattolici

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Da qualche giorno è stata attivata una petizione per la chiusura di Pornhub anche sul sito di Provita & Famiglia

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