Non ho mai: adolescenza in salsa indiana

5 Feb 2022 - Tag: , ,

Non ho mai: adolescenza in salsa indiana

La storia di una liceale di quindici anni nella contea di Los Angeles: i primi amori, gli alti e bassi dell’amicizia, l’ansia per le valutazioni scolastiche. “Non ho mai” – giunta su Netflix alla seconda stagione, con una terza già annunciata – potrebbe essere un classico “teen drama” senza particolari guizzi di originalità. Ma il modo in cui le vicende sono raccontate e le caratteristiche dei protagonisti ne fanno una serie decisamente anticonvenzionale e ricca di spunti interessanti. A cominciare dalla voce narrante, affidata a John McEnroe, con un effetto spiazzante fin dalle prime battute. Se per capire del tutto il motivo della scelta occorrerà aspettare la fine della prima stagione, si può intuire già all’inizio una certa somiglianza fra l’irruento carattere del leggendario tennista e quello della protagonista, la ragazza indiana Devi Vishwakumar, che a stento riesce a controllare le sue reazioni e per questo è considerata piuttosto strana dai compagni. Del resto, ha i suoi buoni motivi per comportarsi così. Come si apprende nella prima parte dell’episodio iniziale, ha assistito alla morte improvvisa per infarto dell’amatissimo padre Mohan e per il trauma ha perso l’uso delle gambe per alcuni mesi.

Non mi sono mai sentita troppo indiana

Non proprio un’adolescenza facile la sua. Ma la serie  – ispirata al celebre gioco che prevede la confessione in pubblico di qualcosa di personale – usa un tono ironico e mai banale per raccontare le classiche dinamiche delle relazioni adolescenziali. Ogni episodio affronta una situazione critica come: “Non ho mai tradito un’amica”, “Non ho mai chiesto perdono”, o “Non ho mai detto grandi bugie”, ma anche “Non mi sono mai sentita troppo indiana”, a toccare il delicato tema dell’integrazione in una cultura radicalmente diversa dalla propria).

Le vicende di Devi e delle sue amiche sono narrate con uno stile a tratti grottesco (con un’insistenza a volte eccessiva su temi legati al sesso, più nei dialoghi che nelle scene, dove non c’è nulla di esplicito). E’ presente anche la relazione tra due studentesse, inserita forse in modo un po’ troppo sbrigativo nell’economia della storia. Il maggior pregio di “Non ho mai…” risiede nella capacità di affrontare temi non facili, come il bullismo o la disabilità, con tono lieve, mai scontato e che rivela in ogni personaggio un potenziale di miglioramento che si sviluppa nel corso degli episodi. In questa evoluzione hanno un ruolo non secondario alcune figure di adulti, non certo ineccepibili, ma ben consci del proprio ruolo educativo: prima fra tutti la madre di Devi, Nalini, con cui il rapporto non è sempre facile, che tuttavia resta come punto di riferimento per la ragazza e saprà cambiare per adattarsi al carattere della figlia e accompagnarla nell’arduo percorso di elaborazione del lutto.

L’amore paterno

La difficile elaborazione del grave lutto per la perdita del padre è il filo rosso che unifica i venti episodi di “Non ho mai”. E proprio il rapporto con la figura paterna è uno dei temi che la serie invita ad approfondire. La presenza di Mohan, padre di Devi, ormai morto, si concretizza in numerose situazioni, con brevi incursioni nella sua vita, in sogno, per darle il consiglio giusto o per raccogliere un suo momento di sconforto e rassicurarla. Il ruolo del padre è sempre quello di aiutare Devi a riconoscere il proprio valore, anche quando tutte le circostanze esterne sembrano negarlo. In particolare nella seconda stagione si racconta in modo semplice, ma particolarmente efficace, l’importanza della figura paterna, pur non presente fisicamente. Devi, alle prese con il suo difficile carattere che le ha fatto guadagnare a scuola il soprannome di “Devi la pazza”, accetta il consiglio della psicoterapeuta di trovare un sistema per calmarsi quando sente che sta per perdere le staffe. La ragazza ritrova nel cellulare un vecchio messaggio vocale di suo papà che la sta aspettando nel parcheggio di un supermercato: un piccolo dettaglio di quotidianità ormai perduta. La voce del padre ha il potere di tranquillizzarla all’istante, e visto il buon funzionamento dell’espediente, la ragazza lo ripeterà spesso nelle situazioni più varie. Nell’episodio 10 della seconda stagione si svolge in sogno un dialogo particolarmente significativo in cui Mohan darà a Devi un consiglio importante sulla propria vita affettiva. Sarà proprio lui a convincerla a non accettare una relazione “segreta” con un ragazzo che si vergogna di farsi vedere con lei in pubblico. “Credo che ti serva un po’ di saggezza paterna, so che hai il cuore un po’ pesante – esordisce -. Solo perché hai fatto qualche errore non vuol dire che tu debba accontentarti. La Devi che conosco io non accetterebbe di fare la fidanzata segreta, nascosta nell’ombra”. A conclusione del breve colloquio Mohan rivolge a Devi un profondo e sincero apprezzamento per lei così com’è, pur con i suoi molti difetti, con l’effetto di sollevarla dalle troppe aspettative che sente su di sé e di aiutarla così a fare la scelta giusta.“Dico che sei la mia bambina perfetta perché sei perfetta per me e non perché mi aspetti che tu lo sia per tutto il tempo”. In poche parole la sintesi di un sano rapporto padre-figlia.

Originariamente pubblicato su Il cinematografo

Leggi anche la recensione di Non ho mai, su orientaserie.it

 

 

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Non ho mai: adolescenza in salsa indiana

La storia di una liceale di quindici anni nella contea di Los Angeles: i primi amori, gli alti e bassi dell’amicizia, l’ansia per le valutazioni scolastiche. “Non ho mai” – giunta su Netflix alla seconda stagione, con una terza già annunciata – potrebbe essere un classico “teen drama” senza particolari guizzi di originalità. Ma il modo in cui le vicende sono raccontate e le caratteristiche dei protagonisti ne fanno una serie decisamente anticonvenzionale e ricca di spunti interessanti. A cominciare dalla voce narrante, affidata a John McEnroe, con un effetto spiazzante fin dalle prime battute. Se per capire del tutto il motivo della scelta occorrerà aspettare la fine della prima stagione, si può intuire già all’inizio una certa somiglianza fra l’irruento carattere del leggendario tennista e quello della protagonista, la ragazza indiana Devi Vishwakumar, che a stento riesce a controllare le sue reazioni e per questo è considerata piuttosto strana dai compagni. Del resto, ha i suoi buoni motivi per comportarsi così. Come si apprende nella prima parte dell’episodio iniziale, ha assistito alla morte improvvisa per infarto dell’amatissimo padre Mohan e per il trauma ha perso l’uso delle gambe per alcuni mesi.

Non mi sono mai sentita troppo indiana

Non proprio un’adolescenza facile la sua. Ma la serie  – ispirata al celebre gioco che prevede la confessione in pubblico di qualcosa di personale – usa un tono ironico e mai banale per raccontare le classiche dinamiche delle relazioni adolescenziali. Ogni episodio affronta una situazione critica come: “Non ho mai tradito un’amica”, “Non ho mai chiesto perdono”, o “Non ho mai detto grandi bugie”, ma anche “Non mi sono mai sentita troppo indiana”, a toccare il delicato tema dell’integrazione in una cultura radicalmente diversa dalla propria).

Le vicende di Devi e delle sue amiche sono narrate con uno stile a tratti grottesco (con un’insistenza a volte eccessiva su temi legati al sesso, più nei dialoghi che nelle scene, dove non c’è nulla di esplicito). E’ presente anche la relazione tra due studentesse, inserita forse in modo un po’ troppo sbrigativo nell’economia della storia. Il maggior pregio di “Non ho mai…” risiede nella capacità di affrontare temi non facili, come il bullismo o la disabilità, con tono lieve, mai scontato e che rivela in ogni personaggio un potenziale di miglioramento che si sviluppa nel corso degli episodi. In questa evoluzione hanno un ruolo non secondario alcune figure di adulti, non certo ineccepibili, ma ben consci del proprio ruolo educativo: prima fra tutti la madre di Devi, Nalini, con cui il rapporto non è sempre facile, che tuttavia resta come punto di riferimento per la ragazza e saprà cambiare per adattarsi al carattere della figlia e accompagnarla nell’arduo percorso di elaborazione del lutto.

L’amore paterno

La difficile elaborazione del grave lutto per la perdita del padre è il filo rosso che unifica i venti episodi di “Non ho mai”. E proprio il rapporto con la figura paterna è uno dei temi che la serie invita ad approfondire. La presenza di Mohan, padre di Devi, ormai morto, si concretizza in numerose situazioni, con brevi incursioni nella sua vita, in sogno, per darle il consiglio giusto o per raccogliere un suo momento di sconforto e rassicurarla. Il ruolo del padre è sempre quello di aiutare Devi a riconoscere il proprio valore, anche quando tutte le circostanze esterne sembrano negarlo. In particolare nella seconda stagione si racconta in modo semplice, ma particolarmente efficace, l’importanza della figura paterna, pur non presente fisicamente. Devi, alle prese con il suo difficile carattere che le ha fatto guadagnare a scuola il soprannome di “Devi la pazza”, accetta il consiglio della psicoterapeuta di trovare un sistema per calmarsi quando sente che sta per perdere le staffe. La ragazza ritrova nel cellulare un vecchio messaggio vocale di suo papà che la sta aspettando nel parcheggio di un supermercato: un piccolo dettaglio di quotidianità ormai perduta. La voce del padre ha il potere di tranquillizzarla all’istante, e visto il buon funzionamento dell’espediente, la ragazza lo ripeterà spesso nelle situazioni più varie. Nell’episodio 10 della seconda stagione si svolge in sogno un dialogo particolarmente significativo in cui Mohan darà a Devi un consiglio importante sulla propria vita affettiva. Sarà proprio lui a convincerla a non accettare una relazione “segreta” con un ragazzo che si vergogna di farsi vedere con lei in pubblico. “Credo che ti serva un po’ di saggezza paterna, so che hai il cuore un po’ pesante – esordisce -. Solo perché hai fatto qualche errore non vuol dire che tu debba accontentarti. La Devi che conosco io non accetterebbe di fare la fidanzata segreta, nascosta nell’ombra”. A conclusione del breve colloquio Mohan rivolge a Devi un profondo e sincero apprezzamento per lei così com’è, pur con i suoi molti difetti, con l’effetto di sollevarla dalle troppe aspettative che sente su di sé e di aiutarla così a fare la scelta giusta.“Dico che sei la mia bambina perfetta perché sei perfetta per me e non perché mi aspetti che tu lo sia per tutto il tempo”. In poche parole la sintesi di un sano rapporto padre-figlia.

Originariamente pubblicato su Il cinematografo

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