Il vero volto di Internet

27 Mag 2020 - Tag: , , ,

Il vero volto di Internet

Ci voleva la pandemia per far riscoprire qual è, da sempre, la vera vocazione di Internet. La “rete di reti” il cui nucleo essenziale fu messo in funzione per la prima volta alla fine degli anni ’60, nasce con l’intento di far comunicare fra loro computer incompatibili gli uni con gli altri e pensati per lavorare in autonomia. Ben presto diventa chiaro però che le caratteristiche di questa rete assolutamente innovativa avrebbero favorito in modo inaspettato non soltanto la connessione fra macchine, ma anche la condivisione d’idee, iniziative, interessi comuni fra persone lontane, con opinioni diverse, spesso in radicale opposizione fra loro.

Negli ultimi anni tutto questo non è risultato più così evidente. Con la trasformazione della Rete in un medium di massa e il prevalere di logiche di mercato al suo interno, quella profezia originaria sembra essersi molto ridimensionata, per lasciare il posto al progressivo polarizzarsi degli utenti su posizioni estreme, alla deriva delle fake news, all’affermarsi di pulsioni narcisistiche e di tutto quanto ben conosciamo del Web che usiamo ogni giorno.

Ma durante la quarantena, con gli schermi connessi che costituiscono per molti l’unico modo per lavorare, imparare, socializzare, è come se Internet fosse tornata alle sue origini mostrandoci – di nuovo – il suo volto migliore, nativo. Guardiamolo bene e cerchiamo di ricordarlo quando saremo tornati – chissà come e chissà per quali passaggi – a una vita in cui incontrarsi faccia a faccia sarà di nuovo normale. Ricordiamolo, perché la grande lezione di questa pandemia è proprio averci costretto ad allargare lo sguardo per cogliere le enormi opportunità che la comunicazione online ci offre.

Più di mille corsi accelerati sulla consapevolezza nell’uso dei media, le interminabili settimane del confinamento domestico ci hanno fatto riscoprire i veri motivi per cui Internet e il Web sono nati e capire quanto è importante preservarli come beni comuni preziosi. Un bambino o un adolescente collegati in videoconferenza con il nonno o con una persona cara che non possono andare a trovare colgono immediatamente, senza bisogno di spiegazioni, il ruolo insostituibile giocato dalla tecnologia nel farci sentire vicino chi è lontano, nel creare uno spazio virtuale dove sia possibile incontrare gli altri e avvertire meno il peso della solitudine. Un liceale che tocchi con mano la disponibilità dei suoi professori a colmare la distanza reale mediante iniziative virtuali che lo coinvolgano e lo stimolino a partecipare alla vita di classe si trova a dover imparare un modo diverso, più maturo, per usare il proprio smartphone, sinora vissuto quasi esclusivamente come un docile ed efficiente oggetto per l’intrattenimento e la condivisione disimpegnata. Qualcosa di simile accade anche ai genitori, chiamati a rivalutare il ruolo di quegli stessi dispositivi digitali, al di là della sterile contrapposizione tra chi li considera una perdita di tempo da limitare al minimo, e chi invece li ritiene strumenti imprescindibili a ogni età senza particolari cautele o regole. Piuttosto se c’è qualcosa che ormai dovremmo aver capito è che  il tempo passato davanti allo schermo non è tutto uguale. Due mesi d’intensa convivenza coatta in casa tra figli e genitori hanno favorito una spontanea condivisione delle attività online. Basti pensare alla didattica a distanza con la possibilità assolutamente inedita per un genitore di partecipare – affiancandolo se molto piccolo o per brevi periodi se già più grande – alle lezioni del proprio figlio e in generale alle varie proposte della scuola (…).

Estratto dal mio contributo all’ebook “L’altro virus. Comunicazione e disinformazione ai tempi del Covid-19”, curato da Marianna Sala e Massimo Scaglioni, edito da Vita e Pensiero e scaricabile gratuitamente qui

 

 

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Ci voleva la pandemia per far riscoprire qual è, da sempre, la vera vocazione di Internet. La “rete di reti” il cui nucleo essenziale fu messo in funzione per la prima volta alla fine degli anni ’60, nasce con l’intento di far comunicare fra loro computer incompatibili gli uni con gli altri e pensati per lavorare in autonomia. Ben presto diventa chiaro però che le caratteristiche di questa rete assolutamente innovativa avrebbero favorito in modo inaspettato non soltanto la connessione fra macchine, ma anche la condivisione d’idee, iniziative, interessi comuni fra persone lontane, con opinioni diverse, spesso in radicale opposizione fra loro.

Negli ultimi anni tutto questo non è risultato più così evidente. Con la trasformazione della Rete in un medium di massa e il prevalere di logiche di mercato al suo interno, quella profezia originaria sembra essersi molto ridimensionata, per lasciare il posto al progressivo polarizzarsi degli utenti su posizioni estreme, alla deriva delle fake news, all’affermarsi di pulsioni narcisistiche e di tutto quanto ben conosciamo del Web che usiamo ogni giorno.

Ma durante la quarantena, con gli schermi connessi che costituiscono per molti l’unico modo per lavorare, imparare, socializzare, è come se Internet fosse tornata alle sue origini mostrandoci – di nuovo – il suo volto migliore, nativo. Guardiamolo bene e cerchiamo di ricordarlo quando saremo tornati – chissà come e chissà per quali passaggi – a una vita in cui incontrarsi faccia a faccia sarà di nuovo normale. Ricordiamolo, perché la grande lezione di questa pandemia è proprio averci costretto ad allargare lo sguardo per cogliere le enormi opportunità che la comunicazione online ci offre.

Più di mille corsi accelerati sulla consapevolezza nell’uso dei media, le interminabili settimane del confinamento domestico ci hanno fatto riscoprire i veri motivi per cui Internet e il Web sono nati e capire quanto è importante preservarli come beni comuni preziosi. Un bambino o un adolescente collegati in videoconferenza con il nonno o con una persona cara che non possono andare a trovare colgono immediatamente, senza bisogno di spiegazioni, il ruolo insostituibile giocato dalla tecnologia nel farci sentire vicino chi è lontano, nel creare uno spazio virtuale dove sia possibile incontrare gli altri e avvertire meno il peso della solitudine. Un liceale che tocchi con mano la disponibilità dei suoi professori a colmare la distanza reale mediante iniziative virtuali che lo coinvolgano e lo stimolino a partecipare alla vita di classe si trova a dover imparare un modo diverso, più maturo, per usare il proprio smartphone, sinora vissuto quasi esclusivamente come un docile ed efficiente oggetto per l’intrattenimento e la condivisione disimpegnata. Qualcosa di simile accade anche ai genitori, chiamati a rivalutare il ruolo di quegli stessi dispositivi digitali, al di là della sterile contrapposizione tra chi li considera una perdita di tempo da limitare al minimo, e chi invece li ritiene strumenti imprescindibili a ogni età senza particolari cautele o regole. Piuttosto se c’è qualcosa che ormai dovremmo aver capito è che  il tempo passato davanti allo schermo non è tutto uguale. Due mesi d’intensa convivenza coatta in casa tra figli e genitori hanno favorito una spontanea condivisione delle attività online. Basti pensare alla didattica a distanza con la possibilità assolutamente inedita per un genitore di partecipare – affiancandolo se molto piccolo o per brevi periodi se già più grande – alle lezioni del proprio figlio e in generale alle varie proposte della scuola (…).

Estratto dal mio contributo all’ebook “L’altro virus. Comunicazione e disinformazione ai tempi del Covid-19”, curato da Marianna Sala e Massimo Scaglioni, edito da Vita e Pensiero e scaricabile gratuitamente qui

 

 

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