I cinici Teen Drama di Netflix e Sky

27 Feb 2022 -

I cinici Teen Drama di Netflix e Sky

Tutto iniziò con il suicidio di Hannah

La camera inquadra l’armadietto di una scuola, pieno di foto e bigliettini dedicati a una ragazza che non c’è più. A breve scopriremo che quella adolescente si chiamava Hannah Baker e che è morta suicida. È lei stessa ad apparirci nella scena successiva: «Mangia qualcosa e mettiti comodo perché sto per raccontarti la storia della mia vita». Cominciava così il primo episodio della serie Netflix, Tredici (nell’originale Thirteen reasons why), andato in onda il 31 marzo del 2017 e accolto da un grande successo di pubblico e di critica. Il racconto di Hannah si snodava per tredici episodi, ognuno dei quali era costruito intorno a un’audiocassetta recapitata a ciascuna delle persone ritenute dalla ragazza responsabili di aver causato il suo suicidio.

Tratta dal romanzo di Jay Asher, la prima stagione di Tredici è stato un prodotto di alto livello quanto a narrazione, recitazione e regia (in seguito ne sono state prodotte tre stagioni, di qualità decisamente inferiore), rivolto formalmente a chi aveva un’età superiore ai 14 anni, ma in realtà ha agganciato l’attenzione dei ragazzi già delle scuole medie. Insieme al successo la serie ha sollevato numerose polemiche a causa del tema trattato, inducendo molti Paesi a fornire indicazioni precise sulla visione (meglio se accompagnati da un adulto e niente binge watching, ovvero la visione di più episodi nella stessa serata). Alcune organizzazioni di genitori statunitensi avevano poi chiesto di rimandare la programmazione della seconda stagione, in attesa di verificare i reali effetti della visione sui ragazzi, e la stessa Netflix aveva deciso di affiancare alla messa in onda un breve video in cui gli attori spiegavano che la serie poteva essere problematica per soggetti già inclini al suicidio e, nel caso, di evitarla o comunque parlarne con un adulto. Nel maggio dello scorso anno, una ricerca pubblicata sulla rivista americana di psichiatria Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psy­chia­try evidenziava come, nell’aprile 2017, cioè a ridosso della messa in onda della serie, il tasso di suicidi tra ragazzi di età comprese tra i 10 e i 17 anni negli Stati Uniti fosse amentato di quasi il 30 per cento. In seguito alla diffusione di questi dati, Netflix ha eliminato dalla prima stagione la cruda scena del suicidio di Hannah

Stupri & sballo in «Euphoria»

Tredici è soltanto il caso estremo, quello di cui più si è parlato per la delicatezza del tema affrontato. Ma sono molte altre le serie tv che trattano questioni strettamente legate alla vita degli adolescenti, e con risvolti decisamente problematici dal punto di vista educativo. Un caso recente è stato Euphoria, prodotta da HBO e andata in onda su Sky lo scorso autunno. Prodotta dal rapper Drake e interpretata dalla cantante e attrice Zendaya, molto popolare tra gli adolescenti, è la storia di Rue, una ragazza tossicodipendente, con seri disturbi della personalità, e del suo mondo fatto di adolescenti abbandonati a loro stessi, alle prese con le sfide della crescita: dalla ricerca dell’identità sessuale alle difficoltà nelle relazioni affettive, dall’abuso di sostanze al rapporto con genitori fragili, inadeguati, spesso invischiati nelle più varie forme di dipendenza al pari dei propri figli. Il tutto trattato in modo crudo, senza nulla lasciare all’immaginazione. Così presentava la serie la stessa Sky, nel comunicato che ne annunciava la messa in onda: «Un mondo popolato di adolescenti problematici e caratteriali che postano video dei propri coetanei su YouPorn. Bullismo e disordini alimentari vanno a braccetto con tossicodipendenze e stupri», una «fiction piena di situazioni borderline, di momenti scioccanti, di scene violentissime di nudi maschili e femminili».

L’intento dichiarato dell’emittente era incoraggiare una discussione e sensibilizzare il pubblico. In chiusura di ogni puntata si leggeva: «Se stai vivendo problemi di dipendenze o situazioni di disagio non sottovalutarle» e veniva presentato il numero telefonico di un supporto psicologico per problemi che potevano insorgere durante la visione. In realtà si trattava semplicemente di un servizio da chiamare se in casa qualcuno soffriva di una delle molte patologie descritte nella serie. Ma al di là delle intenzioni, Euphoria, di cui è stata già annunciata una seconda stagione, offre un ritratto cupo degli adolescenti contemporanei, totalmente privo di speranza.

Proporre immagini della crudezza di quelle che la serie offre impedisce in realtà qualsiasi discussione ed è in grado soltanto di creare un senso di pessimismo e sconfitta.

«Sex education», quanti limiti

Sempre nel 2019 Netflix ha prodotto e distribuito Sex education, di cui quest’anno è già andata in onda la seconda stagione. Con un tono leggero e divertente, la serie inglese racconta la storia di Otis, un ragazzo timido e sensibile figlio di una sessuologa, che diventa il punto di riferimento nella sua scuola per consulenze su problemi di sesso. Le relazioni fra i ragazzi sono ritratte in modo positivo, con episodi di bullismo stroncati sul nascere e personaggi spacconi e poco rispettosi che vengono emarginati. Il tutto però condito da un modo assolutamente superficiale di trattare un argomento che richiederebbe un approccio ben più sensibile. Come se il sesso fosse soltanto questione di prestazioni e di apprendimento di tecniche sempre più avanzate, analogamente a ogni altra abilità da acquisire, dal nuoto all’arrampicata.

Abbiamo citato soltanto alcune delle serie più acclamate da critica e pubblico, ma l’elenco potrebbe continuare: nel novero delle produzioni italiane, prodotti di successo tra i teenagers sono stati Skam, viaggio nella vita di un gruppo di studenti di liceo romani, e Summertime, diario di un’estate marina tra amicizie e amori fugaci. Tutte queste storie, apparentemente innocenti, semplici ritratti di quanto avviene normalmente tra i giovani, comunicano in realtà una precisa idea sul mondo e i rapporti interpersonali, che noi spettatori – e gli adolescenti in particolare – finiamo per assorbire senza quasi rendercene conto, arrivando a ritenere accettabili pratiche e comportamenti sui quali invece magari nutriamo in realtà motivate riserve. Del resto, è proprio così che da sempre funzionano le storie: «che siano in forma di film, libri o videogiochi, ci insegnano dei fatti relativi al mondo reale; influenzano la nostra logica morale; e ci segnano con paure, speranze e ansietà che alterano il nostro comportamento, forse persino la nostra personalità», come scrive lo studioso di letteratura Jonathan Gottschall, in L’istinto di narrare (Bollati Boringhieri, 2018).

Se infatti quando ci informiamo su giornali o saggi e cerchiamo di farci una nostra opinione mettiamo in gioco tutte le nostre capacità critiche, quando leggiamo – o ancor di più vediamo – una narrazione siamo molto più disponibili a lasciarci influenzare, abbassiamo le difese: in fondo siamo a contatto con una fiction, non con la realtà.

Oggi le narrazioni audiovisive occupano un tempo rilevante e crescente nella giornata di un adolescente: le serie tv sono un contenuto molto popolare e il binge watching è la norma, spesso praticato in solitudine, davanti allo schermo dello smartphone, chiusi nella propria camera. Se a questo aggiungiamo il fatto che – come abbiamo visto – i temi trattati sono sempre più intensi dal punto di vista emotivo, e al contempo rivolti in modo specifico al mondo dei teenagers – i cosiddetti teen drama di cui la storia di Hannah Baker e quella di Rue sono gli esempi più noti –, abbiamo chiara la rilevanza educativa di tali prodotti e l’importanza per genitori, insegnanti e formatori di conoscere questo mondo. L’obiettivo è poter dialogare con i ragazzi sui temi trattati, pronti a dire anche dei no ma sulla base di informazioni e argomenti di qualche consistenza, oppure al contrario incoraggiando la visione di prodotti particolarmente interessanti.

L’iniziativa di «Orientaserie.it»

Con questa finalità è nato il sito Orientaserie.it, innovativa risorsa online di recensioni che si propone di accompagnare genitori ed educatori in questo compito: ideato da Aiart, associazione nazionale che da anni si occupa di formazione all’uso consapevole dei media, è realizzato in collaborazione con il Master in International Screenwriting and Production dell’Università Cattolica di Milano diretto da Armando Fumagalli e il Corecom Lombardia sotto la guida di Marianna Sala. Ciò che caratterizza questa risorsa rispetto alle altre dedicate allo stesso argomento è l’attenzione non soltanto alla qualità generale dei prodotti citati, ma anche ai risvolti educativi. Nelle recensioni, in buona parte a cura di un gruppo di sceneggiatori e studiosi dell’Università Cattolica di Milano e basati sulla visione completa di tutte le puntate di ogni stagione, si valuta per esempio la presenza di personaggi e temi positivi, o al contrario il prevalere di un clima cinico e disperato, molto frequente nelle serie attuali, purtroppo anche in quelle rivolte agli adolescenti.

Originariamente pubblciato su   Studi Cattolici

 


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I cinici Teen Drama di Netflix e Sky

Tutto iniziò con il suicidio di Hannah

La camera inquadra l’armadietto di una scuola, pieno di foto e bigliettini dedicati a una ragazza che non c’è più. A breve scopriremo che quella adolescente si chiamava Hannah Baker e che è morta suicida. È lei stessa ad apparirci nella scena successiva: «Mangia qualcosa e mettiti comodo perché sto per raccontarti la storia della mia vita». Cominciava così il primo episodio della serie Netflix, Tredici (nell’originale Thirteen reasons why), andato in onda il 31 marzo del 2017 e accolto da un grande successo di pubblico e di critica. Il racconto di Hannah si snodava per tredici episodi, ognuno dei quali era costruito intorno a un’audiocassetta recapitata a ciascuna delle persone ritenute dalla ragazza responsabili di aver causato il suo suicidio.

Tratta dal romanzo di Jay Asher, la prima stagione di Tredici è stato un prodotto di alto livello quanto a narrazione, recitazione e regia (in seguito ne sono state prodotte tre stagioni, di qualità decisamente inferiore), rivolto formalmente a chi aveva un’età superiore ai 14 anni, ma in realtà ha agganciato l’attenzione dei ragazzi già delle scuole medie. Insieme al successo la serie ha sollevato numerose polemiche a causa del tema trattato, inducendo molti Paesi a fornire indicazioni precise sulla visione (meglio se accompagnati da un adulto e niente binge watching, ovvero la visione di più episodi nella stessa serata). Alcune organizzazioni di genitori statunitensi avevano poi chiesto di rimandare la programmazione della seconda stagione, in attesa di verificare i reali effetti della visione sui ragazzi, e la stessa Netflix aveva deciso di affiancare alla messa in onda un breve video in cui gli attori spiegavano che la serie poteva essere problematica per soggetti già inclini al suicidio e, nel caso, di evitarla o comunque parlarne con un adulto. Nel maggio dello scorso anno, una ricerca pubblicata sulla rivista americana di psichiatria Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psy­chia­try evidenziava come, nell’aprile 2017, cioè a ridosso della messa in onda della serie, il tasso di suicidi tra ragazzi di età comprese tra i 10 e i 17 anni negli Stati Uniti fosse amentato di quasi il 30 per cento. In seguito alla diffusione di questi dati, Netflix ha eliminato dalla prima stagione la cruda scena del suicidio di Hannah

Stupri & sballo in «Euphoria»

Tredici è soltanto il caso estremo, quello di cui più si è parlato per la delicatezza del tema affrontato. Ma sono molte altre le serie tv che trattano questioni strettamente legate alla vita degli adolescenti, e con risvolti decisamente problematici dal punto di vista educativo. Un caso recente è stato Euphoria, prodotta da HBO e andata in onda su Sky lo scorso autunno. Prodotta dal rapper Drake e interpretata dalla cantante e attrice Zendaya, molto popolare tra gli adolescenti, è la storia di Rue, una ragazza tossicodipendente, con seri disturbi della personalità, e del suo mondo fatto di adolescenti abbandonati a loro stessi, alle prese con le sfide della crescita: dalla ricerca dell’identità sessuale alle difficoltà nelle relazioni affettive, dall’abuso di sostanze al rapporto con genitori fragili, inadeguati, spesso invischiati nelle più varie forme di dipendenza al pari dei propri figli. Il tutto trattato in modo crudo, senza nulla lasciare all’immaginazione. Così presentava la serie la stessa Sky, nel comunicato che ne annunciava la messa in onda: «Un mondo popolato di adolescenti problematici e caratteriali che postano video dei propri coetanei su YouPorn. Bullismo e disordini alimentari vanno a braccetto con tossicodipendenze e stupri», una «fiction piena di situazioni borderline, di momenti scioccanti, di scene violentissime di nudi maschili e femminili».

L’intento dichiarato dell’emittente era incoraggiare una discussione e sensibilizzare il pubblico. In chiusura di ogni puntata si leggeva: «Se stai vivendo problemi di dipendenze o situazioni di disagio non sottovalutarle» e veniva presentato il numero telefonico di un supporto psicologico per problemi che potevano insorgere durante la visione. In realtà si trattava semplicemente di un servizio da chiamare se in casa qualcuno soffriva di una delle molte patologie descritte nella serie. Ma al di là delle intenzioni, Euphoria, di cui è stata già annunciata una seconda stagione, offre un ritratto cupo degli adolescenti contemporanei, totalmente privo di speranza.

Proporre immagini della crudezza di quelle che la serie offre impedisce in realtà qualsiasi discussione ed è in grado soltanto di creare un senso di pessimismo e sconfitta.

«Sex education», quanti limiti

Sempre nel 2019 Netflix ha prodotto e distribuito Sex education, di cui quest’anno è già andata in onda la seconda stagione. Con un tono leggero e divertente, la serie inglese racconta la storia di Otis, un ragazzo timido e sensibile figlio di una sessuologa, che diventa il punto di riferimento nella sua scuola per consulenze su problemi di sesso. Le relazioni fra i ragazzi sono ritratte in modo positivo, con episodi di bullismo stroncati sul nascere e personaggi spacconi e poco rispettosi che vengono emarginati. Il tutto però condito da un modo assolutamente superficiale di trattare un argomento che richiederebbe un approccio ben più sensibile. Come se il sesso fosse soltanto questione di prestazioni e di apprendimento di tecniche sempre più avanzate, analogamente a ogni altra abilità da acquisire, dal nuoto all’arrampicata.

Abbiamo citato soltanto alcune delle serie più acclamate da critica e pubblico, ma l’elenco potrebbe continuare: nel novero delle produzioni italiane, prodotti di successo tra i teenagers sono stati Skam, viaggio nella vita di un gruppo di studenti di liceo romani, e Summertime, diario di un’estate marina tra amicizie e amori fugaci. Tutte queste storie, apparentemente innocenti, semplici ritratti di quanto avviene normalmente tra i giovani, comunicano in realtà una precisa idea sul mondo e i rapporti interpersonali, che noi spettatori – e gli adolescenti in particolare – finiamo per assorbire senza quasi rendercene conto, arrivando a ritenere accettabili pratiche e comportamenti sui quali invece magari nutriamo in realtà motivate riserve. Del resto, è proprio così che da sempre funzionano le storie: «che siano in forma di film, libri o videogiochi, ci insegnano dei fatti relativi al mondo reale; influenzano la nostra logica morale; e ci segnano con paure, speranze e ansietà che alterano il nostro comportamento, forse persino la nostra personalità», come scrive lo studioso di letteratura Jonathan Gottschall, in L’istinto di narrare (Bollati Boringhieri, 2018).

Se infatti quando ci informiamo su giornali o saggi e cerchiamo di farci una nostra opinione mettiamo in gioco tutte le nostre capacità critiche, quando leggiamo – o ancor di più vediamo – una narrazione siamo molto più disponibili a lasciarci influenzare, abbassiamo le difese: in fondo siamo a contatto con una fiction, non con la realtà.

Oggi le narrazioni audiovisive occupano un tempo rilevante e crescente nella giornata di un adolescente: le serie tv sono un contenuto molto popolare e il binge watching è la norma, spesso praticato in solitudine, davanti allo schermo dello smartphone, chiusi nella propria camera. Se a questo aggiungiamo il fatto che – come abbiamo visto – i temi trattati sono sempre più intensi dal punto di vista emotivo, e al contempo rivolti in modo specifico al mondo dei teenagers – i cosiddetti teen drama di cui la storia di Hannah Baker e quella di Rue sono gli esempi più noti –, abbiamo chiara la rilevanza educativa di tali prodotti e l’importanza per genitori, insegnanti e formatori di conoscere questo mondo. L’obiettivo è poter dialogare con i ragazzi sui temi trattati, pronti a dire anche dei no ma sulla base di informazioni e argomenti di qualche consistenza, oppure al contrario incoraggiando la visione di prodotti particolarmente interessanti.

L’iniziativa di «Orientaserie.it»

Con questa finalità è nato il sito Orientaserie.it, innovativa risorsa online di recensioni che si propone di accompagnare genitori ed educatori in questo compito: ideato da Aiart, associazione nazionale che da anni si occupa di formazione all’uso consapevole dei media, è realizzato in collaborazione con il Master in International Screenwriting and Production dell’Università Cattolica di Milano diretto da Armando Fumagalli e il Corecom Lombardia sotto la guida di Marianna Sala. Ciò che caratterizza questa risorsa rispetto alle altre dedicate allo stesso argomento è l’attenzione non soltanto alla qualità generale dei prodotti citati, ma anche ai risvolti educativi. Nelle recensioni, in buona parte a cura di un gruppo di sceneggiatori e studiosi dell’Università Cattolica di Milano e basati sulla visione completa di tutte le puntate di ogni stagione, si valuta per esempio la presenza di personaggi e temi positivi, o al contrario il prevalere di un clima cinico e disperato, molto frequente nelle serie attuali, purtroppo anche in quelle rivolte agli adolescenti.

Originariamente pubblciato su   Studi Cattolici

 


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