Giovani e smartphone, la regola del “buon senso” secondo James Steyer

27 Gen 2020 -

Giovani e smartphone, la regola del “buon senso” secondo James Steyer

8 gennaio 2020-

La chiave per un uso responsabile degli strumenti tecnologici? Il buon senso. Sì, quel vecchio, intramontabile insieme di regole e consuetudini, che non richiedono particolari spiegazioni, ma che oggi, alle prese con algoritmi, intelligenze artificiali e identità virtuali risulta indispensabile. È la ferma convinzione degli americani dell’associazione Common Sense – che in inglese significa proprio “buon senso” –, da tempo attiva nella divulgazione e formazione rivolta a genitori e a educatori sull’utilizzo dei media da parte dei più giovani. Certo, si tratta di un «buon senso» che deve essere al passo con i tempi che viviamo e le sfide che pongono a tutte le realtà e le figure con responsabilità formative.

E per questo l’associazione statunitense realizza ricerche, fornisce consigli pratici, diffonde recensioni e tutte le notizie utili a genitori ed educatori che vogliano conoscere più da vicino le opportunità del mondo digitale. Attiva dal 2003, con sede a San Francisco, Common Sense è finanziata fra l’altro da Twitter e dalle fondazioni Gates, Zuckerberg e Bezos. Il suo fondatore e presidente, James Steyer, è stato a lungo docente di Stanford, è autore di libri sul rapporto tra ragazzi e media, tra cui una guida ai social network per genitori ( Talking back to Facebook, uscito nel 2012) e, negli Stati Uniti, è ormai un personaggio di spicco del dibattito sull’uso consapevole degli strumenti tecnologici.

Il lavoro di Common Sense ha l’obiettivo di aiutare le famiglie e gli educatori a individuare un uso positivo delle tecnologie. Dalla vostra esperienza diretta, quali vi sembrano oggi i problemi più importanti da risolvere?
C’è parecchio da fare per adottare percorsi di cittadinanza digitale, molto richiesti nelle scuole statunitensi. Il 91% degli educatori americani trova questi programmi assai utili e si dichiara particolarmente interessato a tematiche come il cyberbullismo, il discorso d’odio e la privacy. Inoltre gli insegnanti guardano con preoccupazione alle scarse abilità nel valutare criticamente le informazioni online da parte degli studenti. Sono ancora in pochi a insegnare questo tipo di competenze in classe. Nuove opportunità arrivano poi dagli strumenti che uniscono apprendimento e tecnologia e si presentano come giochi per i bambini più piccoli. Su questo però manca ancora un’adeguata formazione da parte degli insegnanti. Negli Stati Uniti assistiamo anche a un divario fra gli studenti di classi abbienti e i loro compagni meno fortunati riguardo alle dotazioni tecnologiche necessarie per lo svolgimento dei compiti. Per questo abbiamo promosso un disegno di legge per l’ampliamento della diffusione della banda larga.

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8 gennaio 2020-

La chiave per un uso responsabile degli strumenti tecnologici? Il buon senso. Sì, quel vecchio, intramontabile insieme di regole e consuetudini, che non richiedono particolari spiegazioni, ma che oggi, alle prese con algoritmi, intelligenze artificiali e identità virtuali risulta indispensabile. È la ferma convinzione degli americani dell’associazione Common Sense – che in inglese significa proprio “buon senso” –, da tempo attiva nella divulgazione e formazione rivolta a genitori e a educatori sull’utilizzo dei media da parte dei più giovani. Certo, si tratta di un «buon senso» che deve essere al passo con i tempi che viviamo e le sfide che pongono a tutte le realtà e le figure con responsabilità formative.

E per questo l’associazione statunitense realizza ricerche, fornisce consigli pratici, diffonde recensioni e tutte le notizie utili a genitori ed educatori che vogliano conoscere più da vicino le opportunità del mondo digitale. Attiva dal 2003, con sede a San Francisco, Common Sense è finanziata fra l’altro da Twitter e dalle fondazioni Gates, Zuckerberg e Bezos. Il suo fondatore e presidente, James Steyer, è stato a lungo docente di Stanford, è autore di libri sul rapporto tra ragazzi e media, tra cui una guida ai social network per genitori ( Talking back to Facebook, uscito nel 2012) e, negli Stati Uniti, è ormai un personaggio di spicco del dibattito sull’uso consapevole degli strumenti tecnologici.

Il lavoro di Common Sense ha l’obiettivo di aiutare le famiglie e gli educatori a individuare un uso positivo delle tecnologie. Dalla vostra esperienza diretta, quali vi sembrano oggi i problemi più importanti da risolvere?
C’è parecchio da fare per adottare percorsi di cittadinanza digitale, molto richiesti nelle scuole statunitensi. Il 91% degli educatori americani trova questi programmi assai utili e si dichiara particolarmente interessato a tematiche come il cyberbullismo, il discorso d’odio e la privacy. Inoltre gli insegnanti guardano con preoccupazione alle scarse abilità nel valutare criticamente le informazioni online da parte degli studenti. Sono ancora in pochi a insegnare questo tipo di competenze in classe. Nuove opportunità arrivano poi dagli strumenti che uniscono apprendimento e tecnologia e si presentano come giochi per i bambini più piccoli. Su questo però manca ancora un’adeguata formazione da parte degli insegnanti. Negli Stati Uniti assistiamo anche a un divario fra gli studenti di classi abbienti e i loro compagni meno fortunati riguardo alle dotazioni tecnologiche necessarie per lo svolgimento dei compiti. Per questo abbiamo promosso un disegno di legge per l’ampliamento della diffusione della banda larga.

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