E’ tempo di “tecnorealismo”

24 Set 2021 -

E’ tempo di “tecnorealismo”
Photo by Kelly Sikkema on Unsplash

Nel giro di pochi mesi due iniziative parlamentari hanno segnalato un’inedita attenzione della politica riguardo ai rischi dell’uso precoce dello smartphone e dei dispositivi elettronici in generale, con l’emergere di una crescente consapevolezza della necessità di introdurre regole condivise. La prima  è una proposta di legge, presentata nel marzo 2021 da deputati di varie estrazioni (prima firmataria Rosalba De Giorgi, ex Movimento 5S, tra gli altri sostenitori anche l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti), che si propone di regolamentare l’uso dei dispositivi elettronici da parte dei minori di 12 anni. In giugno invece una relazione della Commissione Istruzione del Senato (relatore il senatore Andrea Cangini di Forza Italia) ha tratteggiato un quadro preoccupante dell’uso senza limiti dello smartphone da parte di bambini e ragazzi. Nello stesso periodo è stato anche istituito dalla guardasigilli Marta Cartabia un tavolo tecnico sulla tutela dei diritti dei minori nel contesto dei social network e dei prodotti digitali in rete, che si è riunito per la prima volta in settembre.

Nel frattempo da altri Paesi europei, ma anche da Australia e Stati Uniti, arrivano segnali di ripensamento riguardo all’uso senza regole dello smartphone a scuola fin dalla primaria, con iniziative che hanno coinvolto singoli istituti o interi Stati, come nel caso dello Stato australiano di Victoria, che già dal 2019 vieta l’uso dello smartphone nelle scuole elementari e medie. Ultima in ordine di tempo la Gran Bretagna, dove il ministro dell’Istruzione Gavin Williamson ha annunciato di voler imporre il divieto dell’uso dello smartphone nelle scuole, dopo un periodo di confronto con i diversi istituti.

Si tratta di iniziative che vanno nella stessa direzione, e se forse non sono immediatamente attuabili hanno però l’indubbio merito di inquadrare l’uso della tecnologia nei suoi termini reali promuovendo la gradualità e l’utilizzo moderato da parte dei bambini e dei ragazzi. Nella proposta di legge depositata alla Camera l’articolo 4 specifica che l’uso di smartphone e tablet alle scuole primarie e secondarie di primo grado va consentito solo “per finalità didattiche e pedagogiche o per esigenze indifferibili degli alunni”, e vietato in tutti gli altri casi. Questa è la strada già intrapresa dalla Francia, che al momento non pare aver fatto marcia indietro.

In conclusione della relazione presentata dal senatore Cangini c’è invece la proposta di alcuni “correttivi”, tra i quali: rendere cogente il divieto d’iscrizione ai social per i minori di tredici anni, prevedere l’obbligo dell’installazione di strumenti per il controllo genitoriale e l’inibizione all’accesso a siti per adulti sui cellulari dei minori (su cui peraltro esiste già una norma specifica, approvata insieme al Decreto Giustizia nel giugno 2020) e vietare l’uso degli smartphone in classe.

Tutti impegni condivisibili, che per essere presi con la dovuta serietà richiederebbero però un cambio di mentalità. Il dibattito sull’uso della tecnologia da parte dei minori si è ormai polarizzato su posizioni estreme. Da una parte prevale quello che potremmo definire “tecno ottimismo”, ovvero l’idea che la tecnologia vada usata, per imparare a valutarla in modo consapevole, e che non ci sia ragione d’imporre divieti relativi all’età o all’utilizzo in classe, anzi incoraggiandolo (da questa posizione è derivato il decalogo del Miur per l’uso degli smartphone a scuola voluto nel 2018 dall’allora ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli), con una sopravvalutazione dei vantaggi che elimina ogni possibile approccio critico.  Opposto a questa vi è il “tecno pessimismo”, cioè la convinzione che la tecnologia in sé sia prevalentemente un male, da contenere e limitare il più possibile, ignorando però in questo modo il contesto reale in cui viviamo noi e i nostri figli, e non considerando gli enormi vantaggi che la tecnologia porta nella nostra vita.

La posizione più utile per affrontare oggi il problema del rapporto minori-tecnologia dovrebbe invece essere improntata a un “tecno realismo”, che parta dal considerare come funzioniamo noi e com’è fatta la tecnologia. Noi siamo vulnerabili, poco abili a resistere alle dipendenze e all’attrazione di ciò che è comodo e facile, mentre la tecnologia non è neutrale: rende facili alcune azioni e ne rende difficili altre. Ci semplifica molte operazioni, come restare in contatto con persone lontane, ma allo stesso tempo rende quasi impossibile evitare d’interromperci quando arriva una notifica, perdendo quindi la concentrazione nello studio o togliendo attenzione al nostro interlocutore. Se, con realismo, guardassimo le difficoltà che sperimentiamo noi adulti a gestire questi strumenti sarebbe più facile anche considerare quelle che sembrano proibizioni esagerate, dettate da un oscuro rifiuto della tecnologia, rivalutandole come regole dettate invece da un profondo buon senso, nate dall’aver compreso, come peraltro c’insegnano già diversi protagonisti dell’elite tecnologica americana, che sono necessarie gradualità e moderazione per imparare a usare al meglio questi strumenti. Con “tecnorealismo”, appunto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Nel giro di pochi mesi due iniziative parlamentari hanno segnalato un’inedita attenzione della politica riguardo ai rischi dell’uso precoce dello smartphone e dei dispositivi elettronici in generale, con l’emergere di una crescente consapevolezza della necessità di introdurre regole condivise. La prima  è una proposta di legge, presentata nel marzo 2021 da deputati di varie estrazioni (prima firmataria Rosalba De Giorgi, ex Movimento 5S, tra gli altri sostenitori anche l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti), che si propone di regolamentare l’uso dei dispositivi elettronici da parte dei minori di 12 anni. In giugno invece una relazione della Commissione Istruzione del Senato (relatore il senatore Andrea Cangini di Forza Italia) ha tratteggiato un quadro preoccupante dell’uso senza limiti dello smartphone da parte di bambini e ragazzi. Nello stesso periodo è stato anche istituito dalla guardasigilli Marta Cartabia un tavolo tecnico sulla tutela dei diritti dei minori nel contesto dei social network e dei prodotti digitali in rete, che si è riunito per la prima volta in settembre.

Nel frattempo da altri Paesi europei, ma anche da Australia e Stati Uniti, arrivano segnali di ripensamento riguardo all’uso senza regole dello smartphone a scuola fin dalla primaria, con iniziative che hanno coinvolto singoli istituti o interi Stati, come nel caso dello Stato australiano di Victoria, che già dal 2019 vieta l’uso dello smartphone nelle scuole elementari e medie. Ultima in ordine di tempo la Gran Bretagna, dove il ministro dell’Istruzione Gavin Williamson ha annunciato di voler imporre il divieto dell’uso dello smartphone nelle scuole, dopo un periodo di confronto con i diversi istituti.

Si tratta di iniziative che vanno nella stessa direzione, e se forse non sono immediatamente attuabili hanno però l’indubbio merito di inquadrare l’uso della tecnologia nei suoi termini reali promuovendo la gradualità e l’utilizzo moderato da parte dei bambini e dei ragazzi. Nella proposta di legge depositata alla Camera l’articolo 4 specifica che l’uso di smartphone e tablet alle scuole primarie e secondarie di primo grado va consentito solo “per finalità didattiche e pedagogiche o per esigenze indifferibili degli alunni”, e vietato in tutti gli altri casi. Questa è la strada già intrapresa dalla Francia, che al momento non pare aver fatto marcia indietro.

In conclusione della relazione presentata dal senatore Cangini c’è invece la proposta di alcuni “correttivi”, tra i quali: rendere cogente il divieto d’iscrizione ai social per i minori di tredici anni, prevedere l’obbligo dell’installazione di strumenti per il controllo genitoriale e l’inibizione all’accesso a siti per adulti sui cellulari dei minori (su cui peraltro esiste già una norma specifica, approvata insieme al Decreto Giustizia nel giugno 2020) e vietare l’uso degli smartphone in classe.

Tutti impegni condivisibili, che per essere presi con la dovuta serietà richiederebbero però un cambio di mentalità. Il dibattito sull’uso della tecnologia da parte dei minori si è ormai polarizzato su posizioni estreme. Da una parte prevale quello che potremmo definire “tecno ottimismo”, ovvero l’idea che la tecnologia vada usata, per imparare a valutarla in modo consapevole, e che non ci sia ragione d’imporre divieti relativi all’età o all’utilizzo in classe, anzi incoraggiandolo (da questa posizione è derivato il decalogo del Miur per l’uso degli smartphone a scuola voluto nel 2018 dall’allora ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli), con una sopravvalutazione dei vantaggi che elimina ogni possibile approccio critico.  Opposto a questa vi è il “tecno pessimismo”, cioè la convinzione che la tecnologia in sé sia prevalentemente un male, da contenere e limitare il più possibile, ignorando però in questo modo il contesto reale in cui viviamo noi e i nostri figli, e non considerando gli enormi vantaggi che la tecnologia porta nella nostra vita.

La posizione più utile per affrontare oggi il problema del rapporto minori-tecnologia dovrebbe invece essere improntata a un “tecno realismo”, che parta dal considerare come funzioniamo noi e com’è fatta la tecnologia. Noi siamo vulnerabili, poco abili a resistere alle dipendenze e all’attrazione di ciò che è comodo e facile, mentre la tecnologia non è neutrale: rende facili alcune azioni e ne rende difficili altre. Ci semplifica molte operazioni, come restare in contatto con persone lontane, ma allo stesso tempo rende quasi impossibile evitare d’interromperci quando arriva una notifica, perdendo quindi la concentrazione nello studio o togliendo attenzione al nostro interlocutore. Se, con realismo, guardassimo le difficoltà che sperimentiamo noi adulti a gestire questi strumenti sarebbe più facile anche considerare quelle che sembrano proibizioni esagerate, dettate da un oscuro rifiuto della tecnologia, rivalutandole come regole dettate invece da un profondo buon senso, nate dall’aver compreso, come peraltro c’insegnano già diversi protagonisti dell’elite tecnologica americana, che sono necessarie gradualità e moderazione per imparare a usare al meglio questi strumenti. Con “tecnorealismo”, appunto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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