Baby: l’adolescenza secondo Netflix

21 Gen 2019 - Tag: , ,

Baby: l’adolescenza secondo Netflix

Su una cosa hanno ragione gli estimatori di “Baby” di Netflix (non molti a giudicare dall’accoglienza fredda che la serie ha avuto, in particolare sul Web, dove sono abbondate le stroncature). Il caso di cronaca cui la fiction sembrava ispirata, quello delle baby prostitute dei Parioli, è soltanto un pretesto per trattare una più ampia situazione di disagio adolescenziale. Gli episodi di prostituzione vera e propria sono pochi e circoscritti. Il tema è un altro. Ed è enunciato nella prima puntata: la vita segreta degli adolescenti di un quartiere “bene” di Roma, dove i soldi non mancano, ma il vero affetto nelle famiglie è un optional e anche i rapporti tra coetanei sono ben poco sereni e incoraggianti. Droga e sesso facile sono la norma, gli adulti non hanno un barlume di autorevolezza e credibilità, l’unico sentimento che sembra salvarsi da questo quadro desolante è l’amicizia tra le due protagoniste.
Il tutto, come avevamo già rilevato dopo le prime puntate, è raccontato in modo sommario e spesso oscuro. I personaggi, soprattutto gli adulti, sono stereotipati, privi di reale complessità, prevedibili e talora penalizzati da una sceneggiatura artificiosa e costruita. Sembra che si riesca a instaurare un dialogo tra ragazzi e insegnanti o genitori soltanto quando gli adulti si comportano come adolescenti (è caso della professoressa di ginnastica che fuma una canna in bagno con un suo allievo).
Cosa devono sapere i genitori:
– si tratta di una serie inadatta ai ragazzi sotto i 16-18 anni
– l’atmosfera generale è cupa e del tutto priva di speranza
– il ritratto dell’adolescenza che viene fornito è superficiale e deformato, tutto concentrato a proporre aspetti negativi, comportamenti scorretti, momenti di negatività assoluta e di totale incomprensione con gli adulti. Ci sono poche eccezioni, che non bastano a restituire realismo alla storia.

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Baby: l’adolescenza secondo Netflix

Su una cosa hanno ragione gli estimatori di “Baby” di Netflix (non molti a giudicare dall’accoglienza fredda che la serie ha avuto, in particolare sul Web, dove sono abbondate le stroncature). Il caso di cronaca cui la fiction sembrava ispirata, quello delle baby prostitute dei Parioli, è soltanto un pretesto per trattare una più ampia situazione di disagio adolescenziale. Gli episodi di prostituzione vera e propria sono pochi e circoscritti. Il tema è un altro. Ed è enunciato nella prima puntata: la vita segreta degli adolescenti di un quartiere “bene” di Roma, dove i soldi non mancano, ma il vero affetto nelle famiglie è un optional e anche i rapporti tra coetanei sono ben poco sereni e incoraggianti. Droga e sesso facile sono la norma, gli adulti non hanno un barlume di autorevolezza e credibilità, l’unico sentimento che sembra salvarsi da questo quadro desolante è l’amicizia tra le due protagoniste.
Il tutto, come avevamo già rilevato dopo le prime puntate, è raccontato in modo sommario e spesso oscuro. I personaggi, soprattutto gli adulti, sono stereotipati, privi di reale complessità, prevedibili e talora penalizzati da una sceneggiatura artificiosa e costruita. Sembra che si riesca a instaurare un dialogo tra ragazzi e insegnanti o genitori soltanto quando gli adulti si comportano come adolescenti (è caso della professoressa di ginnastica che fuma una canna in bagno con un suo allievo).
Cosa devono sapere i genitori:
– si tratta di una serie inadatta ai ragazzi sotto i 16-18 anni
– l’atmosfera generale è cupa e del tutto priva di speranza
– il ritratto dell’adolescenza che viene fornito è superficiale e deformato, tutto concentrato a proporre aspetti negativi, comportamenti scorretti, momenti di negatività assoluta e di totale incomprensione con gli adulti. Ci sono poche eccezioni, che non bastano a restituire realismo alla storia.

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